martedì 22 dicembre 2015

Ero un bambino di 10 anni quando ho iniziato a prendere lezioni di sassofono, uno strumento che è stato protagonista nel jazz della prima metà del XX secolo.
L’elemento essenziale del jazz è l’improvvisazione - quel modo di creare nell’istante linee melodiche - e viene infatti insegnata nelle scuole di musica.
Ricordo la grande difficoltà e l’imbarazzo che provavo quando mi si chiedeva di improvvisare, tanto che spesso mi rifiutavo.
Ora comprendo molto bene il motivo del mio istintivo imbarazzo.
Stavo imparando le basi della musica, ero alle prime armi con la tecnica: il mio corpo non aveva ancora integrato né le routine motorie sullo strumento, né l’alfabeto musicale, né quei pattern che si costruiscono con l’esperienza, ossia le parole del personale vocabolario di un musicista che vanno a comporre lo stile della sua personale prosa.
Vivevo la richiesta del mio maestro, di lanciarmi nell’improvvisazione, come se mi si chiedesse di comporre un romanzo senza avere ancora imparato a leggere e scrivere.

Eppure, nonostante l’apparente assurdità, il valore di quella richiesta era altrove.
Non si intendeva infatti insegnare una tecnica, bensì un’attitudine, che è la vera essenza del jazz: la pulsione all’esplorazione, che avanza senza sapere, come un bambino che scopre il mondo.
É certo che l’esplorazione, se dispone di numerosi strumenti e questi sono integrati fin nelle ossa, risulta più articolata: ma il suo centro di gravità non è la tecnica in sé, bensì l’attitudine, caratterizzata da un'intenzione libera da ogni pensiero e strategia, svincolata da ogni sapere.
Come dice Herbie Hancock, improvvisare è imparare a togliere di mezzo se stessi, continuamente.

Quando poi, nella vita, ho acquisito strumenti di approccio al corpo e alla psiche delle persone, mi sono reso conto che, anche nel mio mestiere di “trainer dell’attenzione sul corpo”, come nella musica, l’unico modo di procedere possibile è “togliendo di mezzo se stessi”.
L’analogia con l’improvvisazione musicale, è il caso di dirlo, risuonava profondamente.
Imparare a conoscere il mondo maestoso, illimitato, unico e irripetibile che è quell'essere umano di fronte a sé, richiede di entrare nell’attitudine del “non so niente” che si lascia meravigliare, che salta oltre il sé e i suoi contenuti, che si serve del sentire e niente affatto del pensare.

La sensorialità che permette in modo preponderante tale disposizione percettiva è il sesto senso, una funzione biologica del corpo che ho descritto nel mio libro Fenomenologia della percezione.
La condizione che permette l’attenzione sul sesto senso e lo stato ricettivo, è la competenza inconsapevole, descritta qui.
L’inconsapevolezza, unita ad uno stato altamente ricettivo, dunque permette sia di conoscere veramente una persona, sentendola senza barriere, sia permette la creazione del nuovo nella musica e nell’arte in genere.
Infatti è quello stesso stato che consente a un artista, in qualsiasi arte, di percepire e poi concretizzare le sue opere.
Nel Rinascimento, l’attitudine dell'artista che supera le regole e gli schemi con una padronanza del tutto naturale aveva anche un nome, era chiamata sprezzatura.
Ho intenzione di approfondire l’argomento “creazione artistica” nel prossimo futuro.

Oggi che il mio corpo, dopo anni di ripetizioni, integra a livello cellulare le routine musicali, può permettersi un livello di presenza inconsapevole tale per cui l’improvvisazione è un atto costante e imprescindibile, un'esplorazione continua con il pilota automatico.
Uno stato di coscienza in cui entro, in modo spontaneo e inconsapevole, quando sono di fronte a una persona che, nel mio lavoro, mi chiede di imparare con il corpo: cerco di "togliermi di mezzo" e mi lascio guidare senza sapere.
Per semplificare il concetto, si tratta similmente di quel salto di libertà che si acquisisce quando gli automatismi necessari ad andare in bicicletta sono integrati, e così, senza badare all’equilibrio, si ha a disposizione sufficiente attenzione per guardarsi intorno e sorprendersi del mondo.

Ogni cosa che, anche con tutto il buon intento, cerca di frapporsi per controllare questo processo naturale, lo annichilisce.

“Improvvisare significa esplorare ciò che non sai.
Significa entrare in una stanza buia nella quale non riconosci nulla.
Significa lasciarti guidare dall’istinto più che dalla mente.
È un obiettivo al quale continuo a lavorare ogni giorno: imparare a togliermi di mezzo. Non è facile, ma quando ci si riesce è magia vera”
Herbie Hancock

Il controllo è un’illusione impossibile: non sapere e lasciati sorprendere.


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